di Sonia Campa
Il tema dell’adozione del gatto avrebbe molte sfaccettature meritevoli di un’analisi a sé ed è tanto vasto che quando cerco di affrontarlo, mi sguscia da ogni lato come un’anguilla tra le mani. Per iniziare ad approcciarlo, prima di interrogarsi su questioni pratiche, credo che sarebbe saggio fermarsi a riflettere sul perché si scelga di adottare un gatto e se si è consapevoli del tipo di responsabilità che comporta.
Questa domanda sembra banale e invece è essenziale. Confrontarsi con le proprie ragioni, con i propri “perché” è indispensabile per comprendere se le aspettative che stiamo più o meno consapevolmente coltivando con l’adozione siano realistiche o meno. E se lo sono, ci permette di orientarci meglio anche nei risvolti pratici di questa scelta.
Si può adottare perché si vuole fare un gesto nobile e di “soccorso” ad una creatura che, magari, vive da anni in un gattile. O si può adottare per godere dell’ebrezza estetica che dona il gatto. O ancora si può adottare perché è capitato o perché i gatti sono gli animali preferiti da sempre. Ognuno ha i suoi perché, a volte anche più d’uno ma non ci esimano tenere presente che i “perché” sono nostri, non del gatto e che nel momento in cui varca la soglia di casa, la responsabilità per il suo benessere è a nostro carico.
Un tempo si diceva - e in molti ancora lo ripetono - che l’adozione di un gatto sia meno impegnativa di quella di un cane. Si tratta di un retaggio culturale che poteva valere quando i gatti conducevano una vita prevalentemente all’aperto, entravano in casa solo per riposare e mangiare e, per tutto il resto, erano i titolari esclusivi del loro tempo, dei loro spazi e delle loro giornate, in grado di autodeterminarsi e di seguire uno stile di vita in linea con i loro bisogni innati. In altre parole, vivevano “da gatti”. Forse la sopravvivenza era più difficile ma a loro misura. In Occidente la maggior parte dei mici “di proprietà” vive a contatto con famiglie che implementano vari livelli e vari tipi di restrizioni alla loro autonomia.
Come conseguenza, le vite che conducono oggi i gatti sono caratterizzate da un maggior grado di dipendenza dalle persone. Attenzione, però: non sto asserendo che i gatti dipendono dalle persone perché sono inabili a badare a se stessi. Sto dicendo che gli stili di vita che stiamo imponendo loro non concedono più gli spazi di autodeterminazione di cui potevano godere un tempo (e in riferimento ai quali si sono evoluti) ma questi nuovi vincoli li esulano dalla possibilità di auto-regolarsi, rendendoli dipendenti.
Se pensiamo ai gatti indoor, da noi dipende se, dove, cosa e quanto mangeranno, dove e quando dormiranno, dove depositeranno feci e urina, con chi dovranno condividere l’unico territorio che conoscono e possono occupare, ivi incluse le sue risorse, ma anche quanta compagnia da parte nostra avranno, se, quando e quanto saranno stimolati mentalmente e in che modo.
Ma anche i gatti che hanno la possibilità di entrare e uscire, oggi, sono condizionati dalle nostre scelte: viviamo in città e paesi sempre più affollati di persone e altri gatti che costringono i nostri a ridurre le loro esplorazioni e restare nei dintorni di casa, quando addirittura non siamo noi stessi a farli uscire solo per un raggio ristretto entro il quale esercitiamo un controllo diretto.
Ai gatti abbiamo tolto spazio vitale e potere decisionale sulle loro esistenze ed è questo che li rende, loro malgrado, soggiogati alle nostre scelte.
Ne consegue che il benessere di un gatto adottato perché “poco impegnativo” si rivela, in realtà, una patata bollente interamente nelle mani di chi adotta. Occuparsi del benessere di un gatto, infatti, non significa soltanto garantirgli una lettiera pulita e ben posizionata, del cibo di buona qualità, dell’acqua e qualche giocattolo sparso per casa. Occuparsi di un gatto domestico oggi, soprattutto se la previsione è di tenerlo esclusivamente indoor, significa farsi carico delle inevitabili mancanze che le restrizioni imposte comporteranno, ovvero di tutte quelle stimolazioni fisiche e mentali indispensabili per l’equilibrio psico-fisico del gatto. La contropartita è altissima: soggetti trascurati, poco seguiti o dati “per scontati” nel menàge quotidiano, rischiano di ammalarsi. Possono sviluppare alterazioni comportamentali anche molto severe che vanno dalla depressione al comportamento aggressivo (anche rivolto alle persone di casa), per non parlare di obesità e un ventaglio di problemi organici connessi all’ansia e allo stress.
Questa è una delle prime domande che ci si pone. Il gattino è dolce e dà la sensazione, secondo un altro luogo comune, di poterlo “crescere come ci pare”. Tuttavia, i micetti hanno bisogno di essere seguiti con più continuità, richiedono stabilmente attenzione, vanno educati ad interagire in maniera opportuna (e dipenderà molto da come NOI sapremo interagire con loro) e lo sviluppo comportamentale può venire compromesso o alterato se stanno soli per troppe ore al giorno. D’altra parte, i gatti adulti hanno dei caratteri più stabili, si adattano facilmente - a meno che non abbiano esperienze negative alle spalle - e sono tendenzialmente meno dinamici. Ma sono più restii dei micetti a creare legami con altri gatti.
Non esiste una risposta univoca a questa domanda perché dipende da quali sono le motivazioni personali che spingono ad adottare un gatto. In ogni caso, è cruciale che si eviti di finanziare traffici clandestini di cuccioli provenienti dall’Est ma anche quelli legati a staffette nazionali di meticci ai limiti della legalità (e a volte della sopravvivenza).
Sappiate fare una scelta oculata e saggia della razza: alcune razze sono basate sulla selezione di tratti morfologici disfunzionali (Munchkin, Manx, Scottish Fold, tutte le razze brachicefale, cioè a “muso corto”, tanto per citarne alcune) che provocano innumerevoli problemi fisici e comportamentali; persino molte razze definite “naturali” (in ogni caso un ossimoro, visto che sono comunque il prodotto di un processo selettivo artificiale) hanno subìto dei processi di selezione così radicali che le problematiche genetiche sono diffusissime. Al momento l’unico modo per costringere gli allevatori a modificare gli orientamenti selettivi più maltrattanti è far capire loro che le estremizzazioni non sono né tollerate né ricercate.
D’altra parte, se state pensando ad un gatto proveniente da un gattile o da qualche associazione di volontariato, cercate di rivolgervi ad enti che lavorano in modo onesto e trasparente, sia sul piano legale che su quello economico. Cercate di ottenere più informazioni possibili sull’ente ma anche sulla provenienza del gatto, sulle sue esperienze pregresse e sul suo temperamento. Va da sé che sono assolutamente sconsigliate le adozioni via internet o a scatola chiusa: un gatto va conosciuto prima di decidere di adottarlo, in modo da valutarne le condizioni generali, il carattere ed avere un riscontro sul livello di socievolezza verso le persone.
Se avete bisogno di suggerimenti e consigli che vi orientino durante il processo pre-adottivo, tenete conto che oggi esistono figurate professionali, opportunamente formate (dai veterinari comportamentalisti ai vari consulenti comportamentali), in grado di guidarvi, senza giudizio e tenendo conto della vostra specifica situazione abitativa e familiare, a fare le valutazioni corrette e prendere le decisioni più adeguate.
Un’altra questione spinosa riguarda l’introduzione di un nuovo gatto o gattino in un contesto in cui vivano già altri gatti residenti. Oggi esiste una narrazione molto diffusa che tende a minimizzare quanta fatica facciano i gatti a tollerarsi e convivere senza confliggere, soprattutto da adulti. E alcuni, infatti, non ci riescono affatto: non esiste garanzia che un nuovo gatto verrà accettato dai residenti né che il nuovo gradirà avere attorno altri. Questo può comportare anni di tensioni e litigi stressanti o, addirittura, di totale incompatibilità.
L’unico modo per massimizzare la speranza che due gatti convivano in un clima di reale sintonia è che siano fratelli e che vengano adottati insieme sin dall’inizio. Lì per lì può sembrare un azzardo adottare due mici contemporaneamente ma offre più garanzie di un’adozione in due tempi che può tradursi, poi, in un equilibrio precario o impossibile.
Una volta fatta chiarezza sui propri propositi, aver stabilito se piccolo o adulto e la provenienza, come si fa a prevedere di cosa avrà bisogno?
Il mio consiglio è, prima di tutto, prendere consapevolezza di quali siano i bisogni di specie, quelli cioè condivisi da tutti i gatti per il sol fatto di essere… gatti! Conoscere queste coordinate consentirà di fare poi previsioni più affidabili anche sui bisogni del singolo.
Chiunque adotti un gatto dovrà confrontarsi, prima o poi con almeno tutti questi bisogni.
Mi preme sottolineare quanto ho già affermato: è importante conoscere la natura del gatto perché le carenze nel soddisfacimento dei bisogni, soprattutto quelli fondamentali, si traducono in malattia. Un animale stressato, ansioso o perennemente frustrato è destinato a manifestare nel corpo o nella mente o in entrambi il suo carico di sofferenza.
Siamo ancora sicuri che il gatto sia “meno impegnativo del cane”? O è, semplicemente, che non siamo educati a riflettere su quanto sia complesso assicurargli una reale qualità della vita alle condizioni che la società umana impone attualmente?
I gatti hanno bisogno di più di un letto caldo, un tetto sulla testa, una ciotola sempre piena e qualche gioco sparso per casa e noi, d’altra parte, conduciamo vite che non sempre ci permettono di fornire ciò di cui i gatti hanno bisogno. Imparare a fare un passo indietro è importante qualora non sussistano le condizioni per dedicare lo spazio, il tempo e l’impegno necessario a questo animale autonomo sì, ma sempre meno libero di autodeterminarsi. Avere gatti, del resto, non è un diritto inalienabile, anzi deve diventare sempre di più una scelta ponderata e responsabile che punti a realizzare la felicità del gatto, non solo la nostra.