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di Marco Colombo
Naturalista, fotografo e divulgatore scientifico
Quando si pensa ai felidi selvatici, spesso la mente corre alle grandi savane africane, regno del leone, o alle giungle indiane, dove si mimetizza la tigre.
Eppure, forse non tutti sanno che anche in Europa sono presenti alcune specie estremamente interessanti di questa famiglia di carnivori più o meno specializzati: in Penisola Iberica, per esempio, la lince pardina (Lynx pardinus) sembra finalmente fuori pericolo di estinzione, grazie ad un aumento dei conigli (sue prede preferite) e a una riduzione degli investimenti stradali tramite progetti della Comunità Europea.
Lo stesso non si può dire per la lince eurasiatica (Lynx lynx), le cui popolazioni frammentate da secoli di persecuzione stentano a riprendersi nella porzione centro-occidentale del suo areale, nonostante diversi progetti di reintroduzione stiano cercando di ristabilire i nuclei originari; qualche individuo si osserva anche in Italia, come il famoso B132, un maschio che da diversi anni si muove tra Trentino e Lombardia, ma si tratta veramente di pochissimi animali in tutto.
Se dai 25-36 kg della lince scendiamo un po’ nella classe dimensionale, arriviamo ad un altro felino che invece è, fortunatamente, più diffuso seppur spesso invisibile: il gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris).
Distinguerlo dalle cugine suddette è semplice: le linci sono, appunto, più grandi, con ciuffi sulle orecchie, e una coda molto corta.
Il gatto selvatico, invece, ha in generale l’aspetto di un soriano, con una colorazione di fondo grigia ed un bandeggio evanescente sui fianchi.
Come distinguerlo dunque da un gatto domestico (vagante o magari rinselvatichito)?
Partiamo col dire che il gatto selvatico non è, contrariamente a quanto si creda, necessariamente più grande dei nostri mici di casa: il peso si attesta attorno ai 6 kg, l’altezza alla spalla è di circa 35 cm, la lunghezza massima 120 cm coda inclusa.
Bisogna dunque osservare una serie di caratteri morfologici e cromatici che, nel complesso, possono dare una conferma o meno dell’identificazione.
Tra questi, ricordiamo i più immediati: la coda mostra degli anelli neri separati tra loro, e si allarga verso la punta, che è arrotondata e conferisce la classica forma “a clava”; il dorso ha una lunga riga nera continua e ininterrotta, che inizia all’altezza delle scapole e termina sul bacino; a livello cervicale sono presenti alcune striature nere elegantissime e molto marcate, parallele tra loro.
Altri elementi osservabili sono relativi ad una colorazione rossastra dietro alle orecchie, una riga nera orizzontale sopra al rinario (il “naso”), ed un’estesa area nera sul lato inferiore delle zampe.
Tutti questi caratteri, se osservabili insieme su un gatto incontrato durante un’escursione o colto dalla videotrappola, possono suggerire con buona certezza che si tratti del selvatico. È necessario specificare, però, che in alcune aree (es. Scozia) non esistono più gatti selvatici “puri”, ma solo ibridi, originati dall’incrocio con gatti lasciati liberi di muoversi in natura.
In Italia, per quanto si sa attualmente, il fenomeno dell’ibridazione sembra limitato, seppur presente, ma i ricercatori di questo ambito concordano sempre nel dire che un’identificazione certa al 100% si ha tramite la genetica.
Discorso a parte merita il gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica), da noi presente solo in Sardegna: più snello, con un pattern (disegno) meno marcato e una colorazione più rossastra, è probabilmente il vero antenato dei nostri animali domestici.
La distribuzione del gatto selvatico in Europa risulta abbastanza ampia (dal Portogallo alle coste del Mar Nero), e localmente in via di allargamento.
In Italia, per esempio, nei decenni scorsi questa specie era ritenuta nociva, e veniva eliminata con ogni mezzo, anche allo scopo di venderne la pelliccia. Fortunatamente, il regime di protezione di cui ora gode e l’espansione della copertura boschiva hanno permesso un suo ritorno, e adesso è presente, oltre che nelle isole maggiori, in gran parte delle regioni centro-meridionali della nostra penisola, fino più o meno all’altezza della linea tra la Liguria e le colline di Bologna.
Contemporaneamente, la popolazione balcanica mostra un’espansione verso ovest, con segnalazioni di gatti selvatici stabili in diverse aree di Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige.
Nonostante dunque ormai sia fortunatamente più diffuso, però, il gatto selvatico è molto difficile da incontrare.
Le basse densità (ogni territorio può essere ampio da 3 a 50 kmq a seconda di sesso e risorse disponibili) e la piccola taglia, nonché la predilezione per zone boscate e cespugliate, aree rocciose e versanti poco disturbati, lo rendono un vero e proprio fantasma dei boschi.
Grazie al mio lavoro di campo mi è capitato varie volte di osservarlo, ma è stato quasi sempre per caso: un guizzo nel binocolo a grande distanza, un attraversamento improvviso davanti alla mia auto, o un missile partito dai miei piedi lungo un sentiero.
In ogni occasione, però, mi sono sentito un privilegiato, perché ho potuto guardare negli occhi una leggenda vivente, che da piccolo ammiravo nei disegni sui libri, ormai consunti dal mio sfogliarli di continuo.
Chissà quante volte sono passato in una piccola radura, o mi sono affacciato su una rupe, e due grandi occhi verdi mi hanno fissato, immobili tra la vegetazione, senza che me ne accorgessi.
È da dire che questa specie risulta spesso prettamente notturna, e quindi di per sé non facilmente osservabile in attività alla luce del sole. Interessante notare come, quale rifugio diurno, il gatto selvatico possa scegliere cavità tra le rocce o in tronchi caduti, ma anche tane di tasso abbandonate, strutture queste ultime che potrebbero averne favorito l’espansione anche in aree di pianura, così come accade per lo sciacallo dorato.
Ovviamente il gatto selvatico è un abilissimo predatore, che può essere definito “specialista facoltativo”: la dieta è ampia e variegata, comprende micromammiferi, uccelli, rettili, anfibi e insetti, ma a seconda dell’area geografica e delle risorse disponibili, esso può specializzarsi e predare in maniera sistematica un singolo tipo di prede. Dove ci sono molti conigli, per esempio, insiste su quelli e mangia meno roditori, mentre dove i conigli scarseggiano aumentano i roditori nella dieta.
La possibilità di catturare molte prede è particolarmente rilevante nel periodo riproduttivo: gli accoppiamenti si collocano soprattutto a febbraio, ma poi la femmina deve curare e crescere 2-4 piccoli, che nascono dopo circa 70 giorni con dei bellissimi occhi azzurri, e rimangono con lei per altri 3 mesi prima della dispersione.
In ogni caso, abbiamo ancora molto da scoprire sul gatto selvatico: qualora abbiate il dubbio di averne incontrato uno in Italia, e siate in possesso di video o foto, il consiglio è di inviarli sul sito www.gattoselvatico.it, un progetto di monitoraggio nazionale che cerca di far luce sulla biologia e distribuzione di questa specie nelle nostre regioni.
Conoscere una specie e aiutare i ricercatori nel suo monitoraggio è un piccolo passo verso la sua conservazione.
Con l’augurio che il fantasma dei boschi, dallo sguardo magnetico e indimenticabile, possa riconquistare il suo areale originario, e rendere tutte le nostre montagne ancora più selvagge.
Marco Colombo
Naturalista, fotografo e divulgatore scientifico
Nato nel 1988, si interessa, da quando i suoi sensi glielo permettono, di natura. Muove i primi passi nell'ambito della fotografia naturalistica nel 1999, e fotografa per molti anni su diapositiva, per poi convertirsi, tardivamente, al digitale. Guida Ambientale AIGAE ed istruttore di immersione subacquea, è laureato presso l'Università degli Studi di Milano in Scienze Naturali con due tesi di erpetologia. Sue foto, articoli scientifici e divulgativi sono stati pubblicati sulle principali riviste internazionali del settore, tra le quali si citano BBC Wildlife Magazine, Nat’Images, Unterwasser, Ocean Geographic, Naturfoto ed EZDIVE; in Italia è collaboratore regolare di Focus Wild. Tra le sue scoperte scientifiche, una nuova specie di ragno botola in Sardegna, la fluorescenza in alcuni ragni saltatori, la simbiosi tra bavose e murene in Mediterraneo e diverse nuove segnalazioni faunistiche ed etologiche. Relatore in centinaia di conferenze, è anche docente in corsi e workshop di fotografia naturalistica. Le sue foto sono state esposte in tutta Europa e proiettate anche su monumenti come la Mole Antonelliana. Tra i suoi libri ricordano «Paludi e squame – rettili e anfibi d’Italia» (2014), «I tesori del fiume» (2016), «Paesaggi bestiali» (2019) e «Il bosco delle maschere – la vita segreta del tasso» (2021). Numerose sue foto hanno vinto o ricevuto menzioni speciali in concorsi internazionali, inclusi Wildlife Photographer of the Year (tre volte vincitore di categoria), Festival Mondial de l’Image Sous-Marine, Asferico, GDT European Wildlife Photographer of the Year.
Attualmente è consulente scientifico del programma GEO di Rai3 di cui è regolarmente ospite, e porta avanti lavori di educazione ambientale nelle scuole. Docente nel Master “Comunicazione della fauna e human dimension - Professionisti nella comunicazione della natura e del paesaggio” di Università degli Studi dell'Insubria, MUSE - Museo delle Scienze, Fondazione Edmund Mach ed Istituto Oikos Onlus, è spesso ospite di trasmissioni radiofoniche in qualità di divulgatore.
Ritiene che curiosità e passione, oltre al dovuto rispetto per gli ambienti naturali, siano il motore che debba muovere ogni umano; suo malgrado constata spesso come la legge di Murphy si applichi a pennello alle attività di fotografia naturalistica…
Una selezione di suoi scatti è visionabile al sito www.calosoma.it